Il volume cui va questa Prefazione è un bell'esempio di storia locale.
Non si può non essere grati a Simone Mariotti per il modo intelligente
ed originale con cui ha voluto raccontare le vicende di un'associazione imprenditoriale
che, come l'API di Rimini, ha saputo conquistarsi uno spazio di tutto rispetto
all'interno della comunità locale, pur nella brevità dei dodici
anni dalla sua costituzione. Nelle brevi note che seguono desidero dire le
ragioni che mi spingono a pensare perché soggetti della società
civile organizzata, come è appunto l'API, sono di decisiva importanza
ai fini del disegno di nuove forme di governance del territorio.
Basicamente, l'idea centrale è che non solo l'ente pubblico, ma tutta
la comunità cittadina, con le sue varie articolazioni, deve farsi carico
dello sviluppo locale. La ragione è presto detta. Come è noto,
la globalizzazione ha fatto rinascere - contrariamente alle aspettative -
l'importanza del territorio come spazio non solo civile, ma anche e soprattutto
economico. Ciò è avvenuto in parallelo al trasferimento di quote
di potere dal livello centrale a quello locale. Sono le cosiddette "economie
di agglomerazione" a rendere le città attrattori sempre più
importanti delle attività di impresa. Una città bene organizzata,
sotto i profili della viabilità, dei servizi pubblici, della logistica,
è oggi uno dei fattori di vantaggio competitivo più rilevanti.
È ormai acquisito, infatti, che la nuova competizione, prima ancora
di riguardare la singola impresa, ha come suo primo riferimento il territorio.
È un fatto che le attività produttive ad alta intensità
di conoscenza sono, quasi sempre, attività cittadine. Questo implica
che "le industrie creative" tendono oggi a raggrupparsi attorno
a quelle città che sanno offrire opportunità economiche, sociali
e culturali adeguate. Non solo, ma è la città il luogo per eccellenza
in cui si forma e si afferma l'identità culturale di una comunità
di persone e nel quale si coltivano le virtù civiche. Ecco perché
il governo di una città "creativa" non può essere
della stessa natura del governo di una città "imitativa".
Non può cioè limitarsi alla gestione dell'esistente, né
accontentarsi di mere operazioni di tipo cosmetico.
Ebbene, la nozione di "amministrazione condivisa" di cui parlano
ad esempio Sabino Cassese e Gregorio Arena raccoglie proprio l'esigenza di
saper coniugare le radici di una città - che dicono della memoria -
con le ali, che dicono della capacità di osare vie nuove. L'idea è
basicamente questa: l'ente pubblico cede quote di potere ai corpi intermedi
della società in cambio dell'assunzione da parte di questi di precisate
e concordate responsabilità. È utopico pensarlo? Non lo credo
proprio e ciò per una ragione principale. Perché i sistemi spontanei
di regolazione delle attività a livello locale non sono più
sufficienti, oggi, ad assicurare una governance efficace per uno sviluppo
robusto e sostenibile. Occorrono soggetti che sappiano svolgere la funzione
di coordinatori e soprattutto di addensatori sociali. È questo il nuovo
ruolo specifico delle associazioni imprenditoriali: facilitare la creazione
di sistemi di partenariato fra soggetti pubblici e privati, profit e non profit.
Si pensi allo straordinario successo realizzato, in California, dalla Joint
Venture Sylicon Valley Network. Non si continuerebbe a parlare ancor'oggi
nel mondo del modello della Sylicon Valley se enti locali della California,
Università e associazioni d'impresa non avessero imboccato la via dell'amministrazione
condivisa.
Rimini ha una storia straordinaria e, dal secondo dopoguerra, ha conosciuto
due diversi periodi di successo, ciascuno guidato da forze e fattori differenti.
Ma da un decennio a questa parte, Rimini pare aver perso la voglia di credere
in sé, al proprio potenziale. Sembra dominata da quelle che il filosofo
olandese Spinoza chiamava "le passioni tristi"; non però
la tristezza del pianto, o delle lacrime, ma dell'impotenza, della delusione,
della frammentazione. È questo tipo di tristezza che spegne lo slancio
vitale di cui sarebbero capaci non pochi soggetti riminesi, individuali e
collettivi.
Come è potuto accadere tutto ciò? Senza rinunciare a risposte
più articolate, si può dire comunque che non è certo
la carenza di risorse economico-finanziarie né di quelle umane a spiegare
il fenomeno. Di entrambi i tipi di risorse Rimini è ampiamente dotata.
Piuttosto, quel che è mancato tra i ceti dirigenti sociali, economici
e politici è un sistema di valori condivisi e di convincimenti che
interpretassero il cambiamento in atto come un'opportunità di cui giovarsi
per imprimere al processo di sviluppo una direzione ben precisa. È
accaduto così che i lusinghieri risultati raggiunti nei due periodi
di successo venissero interpretati come una sorta di legittimazione dello
stato stazionario. Di qui la pervasività e l'incisività della
cultura della rendita, prima ancora che della prassi della rendita, in tutte
le sue molteplici espressioni. Il conservatorismo, che sempre accompagna l'ideologia
della rendita, non ha risparmiato il ceto produttivo locale, indebolendone
l'afflato imprenditoriale.
Al riguardo, giunge opportuno il messaggio che promana dal celebre racconto
di F. Kafka, La tana. Lo strano animale che la costruisce è preso da
un'unica fissazione, che qualche estraneo possa penetrare nella sua tana.
Escogita dunque ogni sorta di sistema di sicurezza, erigendo barriere all'entrata
e riducendo le occasioni di confronto con ogni altro. La tana si trasforma
così in una trappola mortale. Proprio come avviene in economia, dove
se ci si limita a difendere le posizioni conquistate, si finisce con il restare
prigionieri del proprio modello di sviluppo.
Alla luce di quanto precede si comprende perché associazioni come l'API
possono contribuire a realizzare, nelle odierne circostanze, forme di rapporto
diretto fra cittadini e decisione pubblica in specifiche aree di intervento.
Penso, ad esempio, alla costituzione di forum deliberativi su materie che
mal sopportano il "corto-termismo" tipico delle agende politiche.
La nascita di un sistema di rappresentanza degli attori e degli interessi
attivi in ambito riminese aiuterebbe non poco a creare un nuovo pezzo del
sistema istituzionale locale, quello del civile. Un ordine sociale autenticamente
liberale non può reggersi a lungo sulle sole gambe del privato e del
pubblico: esso ha bisogno di una terza gamba, quella del civile.
Nel suo Il barone rampante, Italo Calvino descrive molto bene perché
vi sono situazioni nelle quali il potenziale di sviluppo di una città
non sempre riesce a realizzarsi. "Capì questo - si legge nel romanzo
-: che le associazioni rendono l'uomo più forte e mettono in risalto
le doti migliori delle singole persone e danno la gioia che raramente s'ha
restando per proprio conto, di vedere quanta gente c'è onesta e brava
e capace e per cui vale la pena di volere cose buone - mentre vivendo per
proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l'altra faccia
della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della
spada" (p. 129). Quando si arriverà a capire quello che il Barone
rampante aveva ben compreso, si riuscirà finalmente a comprendere perché
Rimini, oggi più che in passato, ha bisogno di soggetti che pongono
alla base del proprio agire l'impegno al valore, cui subordinare gli strumenti,
pur necessari, del denaro e del potere. Forse non è lontano il giorno
in cui di tale bisogno acquisirà piena coscienza la comunità
riminese. Non potrebbe l'API di Rimini adoperarsi per affrettarne un poco
i tempi?