Plus24 - Il Sole 24 Ore, 22 marzo 2014
di Antonio Criscione
Il cliente ha il diritto di chiedere che il gestore gli assicuri il miglior rendimento possibile. Anzi di più: soddisfatto o rimborsato. Marketing aggressivo di un gestore? No è la Cassazione che vuole i gestori sempre al massimo. Una sentenza dello scorso 24 febbraio (la 4393/2014 della prima sezione civile) ha infatti stabilito che nell'attività di gestione del portafoglio occorre tenere un comportamento costantemente diligente e tale da assicurare appunto "il miglior rendimento possibile" (si veda anche la massima della pronuncia qui in basso) e questo periodo per periodo, senza poter compensare eventuali perdite con precedenti guadagni.
Una pronuncia che suscita molti dubbi tra gli esperti. Secondo Giancarlo Forestieri, ordinario di Economia degli intermediari finanziari all'università Bocconi: «A una prima lettura la sentenza suscita più di una perplessità. Innanzitutto sembra dire che l'investimento in un fondo vada valutato sulla base dei risultati complessivi del mercato senza neanche riferimento benchmark. Una valutazione che si può fare solo ex post. In secondo luogo sembra dire che le performance della gestione di un fondo vadano considerate trimestre per trimestre. Sono anni che c'è un dibattito su come si possa contrastare lo short termism, che può provocare dei danni alla crescita del mercato. La sentenza sembra invece premiare proprio il comportamento che anche in sede europea si vuole contrastare».
Le sentenze si occupano di casi concreti, spesso "remoti, e nella vicenda all'esame della Cassazione erano avvenuti agli inizi degli anni novanta. Inoltre i risparmiatori che hanno citato in giudizio la loro banca per l'eccessiva prudenza, hanno lamentato che si fosse tenuta appunto troppo timida nella gestione del pacchetto azionario. Il massimo fissato dal mandato di gestione era del 30% mentre l'istituto si era tenuto costantemente tra il 3,21 e il 13,47 per cento. Il risparmiatore in questo modo non aveva goduto del buon andamento del mercato azionario e aveva chiesto i danni. «Agli inizi degli anni novanta - spiega Simone Mariotti, promotore finanziario e saggista – la gestione era molto diversa da quella attuale e più approssimativa. La gestione dei portafogli era spesso statica e si tendeva a collocarci dentro titoli invenduti. La pratica attuale è più articolata e se il gestore opera all'interno del proprio mandato, il suo comportamento non può essere censurato solo per il fatto che il risultato non sia stato brillante». Secondo Edoardo Guffanti, responsabile della commissione Banche dell'ordine dei commercialisti di Milano: «Se si affermasse il principio secondo il quale investire il patrimonio in misura inferiore al massimo previsto nel contratto di gestione può esporre il gestore a responsabilità, poiché può configurare un comportamento colposo nell'adempimento del mandato, la conseguenza potrebbe essere una progressiva riduzione delle linee a gestione attiva. Il gestore si troverebbe, infatti, esposto al rischio di contestazioni da parte dei clienti in tutti i casi in cui una scelta di allocazione prudente (molto inferiore al massimo) abbia coinciso con una fase di rialzo dell'asset class sottopesata. Una prognosi postuma alquanto rischiosa per il gestore».
Resta però la questione dell'informazione della parte debole, ovvero il risparmiatore. Mariotti ricorda infatti: «Il rischio è che a volte il mandato del risparmiatore sia violato perché magari la prudenza indica che si sta facendo altro rispetto a quanto si è spiegato al risparmiatore. Per esempio se si dice che si sta operando in modo bilanciato e invece magari sto facendo un portafoglio sostanzialmente obbligazionario. Oppure se si dice di operare in un certo settore come per esempio nel mercato americano, ma in realtà all'interno di quel mercato si sta operando solo sull'high tech. Questo è successo in passato e una volta scoppiata la bolla il cliente si è trovato con un'esposizione diversa da quella che si aspettava».
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