Terza edizione
Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi
come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se
non può più dare cattivo esempio
Fabrizio de Andrè, Bocca di rosa, 1967
Se un economista ti chiede d'accettare le sue opinioni come
Vangelo perché poggiano sulla sua sapienza, non credere ad una parola
di quello che dice
John Kenneth Galbraith, Sapere tutto o quasi sull'economia, cap. I,
1978
Quando Luciano Simonelli mi propose di pubblicare una nuova
edizione di questo testo, assieme all'entusiasmo iniziale per una nuova piccola
sfida, fui colto anche da un dubbio. C'era infatti una domanda che mi ronzava
in testa: ma a che può servire?
Era una sensazione che potrebbe sembrare strana, e che potrebbe essere letta
allo stesso tempo come indice di presunzione (il testo è già perfetto
così e non va cambiato) e di rassegnazione (tanto nessuno metterà
in pratica quel che vi è scritto, quindi perché faticare).
Prevalse l'entusiasmo per una ragione che non è difficile da spiegare,
e che non ha a che fare né con la presunzione né con la rassegnazione.
Il libro, nelle sue due precedenti edizioni, è sempre
stato impostato con un'ottica ben precisa, quella di fornire una vasta panoramica
storica da affiancare a elementi dell'attualità (gli ultimi decenni),
per poi suggerire un'impostazione che potesse andare sempre bene negli anni,
facendosi forza di una grande verità che nelle precedenti edizioni ho
posto nelle conclusioni (e che in questa nuova edizione in tre tomi in formato
eBook trovate nel terzo tomo) e che fu detta dal grande John Kenneth
Garbraith in quello che fu forse il suo ultimo capolavoro:
La regola è che le operazioni finanziarie non si
prestano all'innovazione. Quel che è frequentemente descritto e celebrato
con questo termine è, senza eccezione, una piccola variazione su uno
schema stabilito, e che deve il suo carattere distintivo alla sopramenzionata
brevità della memoria finanziaria. Il mondo della finanza continua, instancabile
ad acclamare l'invenzione della ruota, spesso in una versione un po' più
instabile .
Ora date un'occhiata al grafico seguente (la linea tratteggiata
corrisponde al maggio 2005, quando consegnai al precedente editore la seconda
edizione del libro).
È il grafico dell'indice mondiale MSCI All Country,
che racchiude l'andamento delle azioni globali. Il periodo va dal 1997 a oggi,
l'orizzonte temporale da cui ho estratto buona parte dei dati per l'analisi
degli errori e delle previsioni di borsa che troverete nella seconda parte del
libro.
Non è necessario far rilevare la somiglianza tra il prima e il dopo.
Eppure, la crisi del 2008-2009 è sembrata un evento epocale, e lo è
stata per l'economia nel suo complesso, ma per l'investitore interessato all'andamento
dei mercati azionari, si è semplicemente riproposto, in modo più
concentrato (da novembre 2007 a marzo 2009), lo stesso scenario che aveva caratterizzato
il periodo marzo 2000 - marzo 2003.
Oppure, se vogliamo andare ancora più indietro, più
volte la crisi del 2008 è stata paragonata a quella del '29 o, meglio,
a quella del '37 che iniziò 7 anni dopo il 1929, dopo anni di recupero,
e che richiamava l'intervallo 2000-2007.
Nel primo decennio del nuovo millennio abbiamo assistito al diffondersi su larga
scala di nuovi sistemi di controllo del rischio, come il famigerato Var (Value
at risk), la nascita di nuovi prodotti o la riproposizione di vecchie idee,
come i fondi flessibili, ma con nuovi nomi più accattivanti come Total
Return.
Ma la verità di Galbraith dal 1990 è sempre rimasta lì
a ricordare che tutto torna e, gira che ti rigira gira, la storia è sempre
quella.
Ecco allora l'origine dei miei dubbi. La parte storica del libro partiva dal
1637, dalla celebre speculazione sui tulipani, e si chiudeva con le ultime crisi,
dalla bolla internet, al default dell'Argentina, ai crack di Parmalat, Cirio&Co.
Cosa serve aggiungere ulteriori esempi? Dopotutto Lehman e le altre banche fallite
non sono che le ultime tessere di un domino iniziato secoli fa. Io stesso sin
dall'introduzione della prima edizione (2003) cito un brano del 1980 che sembra
scritto per il 2000, o il 2007 e che molto probabilmente descriverà la
nuova euforia rialzista che verrà.
Insomma quattro secoli di storia sono sufficienti per imparare a comprendere
le basi di quella che deve essere una corretta gestione del risparmio. E certe
cose non cambieranno mai, certe saranno prevedibili e altre resteranno in balia
del destino.
Data quindi l'impostazione di questo lavoro, per me una grande soddisfazione
personale è che uno dei più importanti libri pubblicati nel 2009,
This Time Is Different - Eight centuries of financial folly (Princeton University
Press), scritto da Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart sulle ricorrenti crisi del
debito, parta proprio dall'assunto che dopo secoli di storia nulla è
veramente mai diverso, e l'ironia del titolo, come gli autori spiegano, vuole
stimolare un comportamento più virtuoso affinché "i futuri
policy makers e investitori riflettano un po' di più prima di declamare
ancora una volta "Questa volta è diverso". Non lo è
quasi mai".
* * *
Nonostante l'esperienza accumulata negli anni successivi alla
bolla del 2000, la grandissima parte del mondo finanziario, compresi molti tra
i più saggi investitori, è rimasta spiazzata dalla crisi del 2008.
Ben pochi nel 2007 ammonivano sul rischio che stavano correndo le banche, ben
pochi, un anno dopo, nell'estate del 2008, si accorsero del precipizio finanziario
in cui stava per cadere il mondo, anzi. Per rendercene conto possiamo leggere
la seguente successione di tre stralci tratti da tre articoli del Sole 24
Ore usciti tra agosto e dicembre 2008, in cui Marco Liera riportava le
previsioni e gli errori dei grandi manovratori e dei grandi studiosi della finanza
globale.
Il 3 agosto, quando la situazione era già deteriorata
parecchio, e la crisi dei mutui era scoppiata da oltre un anno, Liera presentò
lo studio di tre accademici:
"Ma se la storia ci può insegnare qualcosa,
l'attuale situazione dei mercati ci suggerisce una discreta convenienza delle
azioni, anche se sicuramente ci sono stati periodi in cui questo fenomeno è
stato ancora più marcato. Ben Stein e Phil DeMuth hanno verificato nel
loro libro "Yes, You Can Time the Market" quali siano i segnali più
utili per valutare la convenienza delle azioni, esaminando più di un
secolo di storia della Borsa Usa. Applicando i loro criteri agli attuali livelli
delle quotazioni a Wall Street si ricava appunto la conclusione che le azioni
appaiono a buon mercato. Per cominciare, nel mese appena concluso l'indice S&P
500 corretto per l'inflazione ha perforato dall'alto verso il basso la sua media
mobile a 15 anni. A ciò si aggiunge che i rapporti dividend yield (rendimento
da dividendo) e price/earnings (prezzo utili) dell'indice sono sotto le loro
medie mobili a 15 anni rispettivamente da fine 2007 e fine 2004. Uno solo dei
quattro indicatori ritenuti efficaci ai fini previsivi, il rapporto tra rendimenti
azionari (calcolati come rapporto utile/prezzo) e obbligazionari (calcolato
su titoli tripla A), non sta dando un segnale di acquisto. Questo perché
l'indicatore sta attualmente al di sotto della sua media mobile a 15 anni. La
logica di queste analisi è molto semplice, ed è finalizzata a
scoprire quali siano i momenti di sottovalutazione di Wall Street. Quello che
stiamo attraversando, sulla base di tre indicatori su quattro, sembra essere
tale".
Ahimè, così non fu, anzi di lì a poco
iniziò quella catastrofe che culminò con il fallimento di Lehman
Brothers e si protrasse per i 15 mesi successivi, in cui collassarono oltre
100 banche e istituzioni finanziarie. I listini erano crollati già a
settembre 2008, e alla fine del mese il mondo della finanza iniziò seriamente
a interrogarsi se oramai non fosse giunto il momento di ricominciare a comprare.
Ecco l'inizio di un articolo del 27 settembre in cui si riportavano le mosse
in atto nel sistema:
"Apparentemente, in molti sono pronti a tornare a
comprare. C'è chi lo ha già dimostrato nei fatti, come Warren
Buffett, che ha messo a segno un doppio colpo su Constellation Energy (una utility
in difficoltà) e Goldman Sachs . Ci sono i grandi fondi di private equity
come Blackstone e Citadel che non vedono l'ora di mettere le mani sugli attivi
distressed (con il patron di Blackstone, Stephen Schwarzman, che manda e-mail
ai dipendenti per ricordare che aziende come la loro "sono state create
proprio per prosperare nelle tempeste"). C'è poi, come scriveva
il "Financial Times" di mercoledì, la fila di asset manager
che puntano a ottenere la gestione di una fetta degli attivi "tossici"
(tra questi, Bill Gross di Pimco ) che saranno assorbiti dal fondo federale
statunitense. C'è Microsoft che lancia un buy-back da 40 miliardi di
dollari. E c'è pure il mitico professor Jeremy Siegel che, forte delle
sue competenze di storico del mercato finanziario, ci spiega che questa è
una buying opportunità".
Come sappiamo, ottobre 2008 è stato forse il peggiore
mese nella storia dei mercati finanziari. Il 14 dicembre, infine, cadde anche
"l'ultimo immortale":
"Una delle vittime illustri della Grande Crisi del
2008 è Bill Miller, il leggendario gestore del fondo comune Legg Mason
Value Trust. Dopo che nei 15 anni compresi tra il 1991 e il 2005 aveva sistematicamente
battuto l'indice S&P 500, il suo fondo è stato travolto dallo tsunami
finanziario, perdendo il 58% da inizio 2008, contro il -38% del benchmark. Miller
è stato tradito dallo stile di gestione value che è stato alla
base dei suoi grandi successi del passato. Ha continuato insistentemente a comprare
azioni di banche in grave difficoltà, come Fannie Mae, Bear Stearns,
Countrywide, Washington Mutual, convinto che - come in tante altre occasioni
- il mercato stesse esagerando nel punire questi titoli. E invece stavolta a
sbagliarsi (di grosso) è stato lui".
C'è chi se la prende con le agenzie di rating, con gli
economisti incapaci di fare previsioni, con i politici, e con gli scrittori
che pubblicano libri di finanza sempre al momento sbagliato, cavalcando l'euforia
prima, illudendo il lettore, ed esagerando poi con il pessimismo durante le
crisi. Ma chi andrà avanti con la lettura non troverà nulla di
tutto ciò.
Se vogliamo fare un paragone sportivo, nelle pagine che seguiranno troverete
le regole del gioco, che sono sempre quelle e sono poche. Sono le partite, i
match, le gare, le sfide a essere diverse. Se, per fare un esempio scegliamo,
l'automobilismo, scopriremo che i circuiti sono fatti sempre di curve e rettilinei,
i box sono lungo il percorso, le macchine accelerano se si schiaccia sull'acceleratore
e rallentano se si pigia il freno, e le ruote sono da sempre rotonde e coperte
di gomma. Ma le auto vanno guidate, i motori devono essere ben costruiti e ogni
scuderia adotterà una sua strategia, e allora ogni Gran Premio sarà
diverso dal precedente.
Ecco che allora, alla luce di queste considerazioni e pur avendo
aggiornato l'intero testo, non ho voluto stravolgere l'impostazione del libro
né infarcirlo esageratamente con ulteriori lunghe pagine di previsioni
sbagliate o aneddoti finanziari, se non nel minimo necessario richiesto da qualche
caso eclatante tra quelli che si sono verificati negli ultimi anni.
E questo perché credo che la vera forza di questo lavoro stia proprio
nel rinnovato invito a soffermarsi nuovamente su quello che era accaduto nel
passato, fino alla penultima crisi, per comprendere ancora meglio, e il grafico
sopra riportato sta a dimostrarlo, che le regole per impostare una sana gestione
del proprio denaro non sono una specie di segreto di Fatima, ma una ricchezza
culturale facilmente raggiungibile da tutti. E il lettore che ne avesse preso
coscienza anni fa, preparato quindi ad affrontare il mercato memore della crisi
precedente, sarebbe riuscito ad attraversare senza dolori lancinanti anche l'ultima
crisi, che è stata, oltretutto, la peggiore degli ultimi 80 anni, e che
ci ha fornito nuove conferme per proseguire nel nostro cammino sicuri, un po'
alla maniera cantata da Pierangelo Bertoli:
…ed affronterò la vita a muso duro
un guerriero senza patria e senza spada
con un piede nel passato
e lo sguardo dritto e aperto nel futuro .
* * *
Durante gli anni trascorsi tra gli economisti bolognesi,
un'attività che mi richiedeva una buona dose di energia era riuscire
a districarmi tra la miriade di teorie che mi circondavano e che, apparentemente,
sembravano tutte elaborate per riuscire nella stessa ardua impresa: svelare
al mondo i segreti del comportamento dell'homo œconomicus. Sballottato
tra monetaristi e keynesiani, mi sono reso conto che una delle poche verità
inconfutabili che ogni economista deve conoscere per sopravvivere onorevolmente
è che, imparata la fondamentale arte di formulare le opportune ipotesi
iniziali, un accademico che si mette in testa di dimostrare qualcosa, qualunque
essa sia, ci riesce di sicuro.
Ho lasciato il mondo universitario dopo la laurea e sono passato dall'altro
lato della barricata. Diversi anni sono trascorsi da allora, tutti o quasi vissuti
sul campo come promotore finanziario. Si imparano molte cose in questo mestiere.
Gestire i risparmi delle persone è affare delicato e gestire le loro
ansie lo è anche di più. In tale arduo compito Il Sole 24
Ore diventa uno dei tuoi migliori amici; inizi a seguire i programmi di
Bloomberg e CBS; scopri nuovi valori. Ti accorgi, per esempio,
che una delle tue più grandi conquiste sta nel riuscire ad addormentarti
senza il bisogno irrefrenabile di sapere come ha chiuso Wall Street.
Ma c'è un'altra cosa che non ho potuto fare a meno di notare, e cioè
che ad appropriarsi di quella utile verità accademica era stato un gruppo
di curiosi e astuti personaggi: i "guru" della finanza.
Lo spunto per la stesura di questo libro mi venne anni fa,
quando mi resi conto che la mia collezione di articoli che avevano a oggetto
previsioni economiche sballate, aveva raggiunto dimensioni tali che, anche riferendosi
solo agli ultimi anni, se non fosse stata organizzata in qualche modo sarebbe
divenuta presto inutilizzabile tanto era il materiale raccolto.
Come dicevo poc'anzi, ho continuato a raccogliere previsioni e analisi senza
però proseguire in una catalogazione meticolosa, non perché le
cose fossero migliorate, ma perché il succedersi degli eventi ne produceva
continuamente di differenti nella forma, ma di sempre uguali nella sostanza.
Iniziando a riordinare il tutto per annate e poi per aree di investimento, complice
anche la lettura di dati e statistiche sul mercato americano dei decenni precedenti
che andavano nella medesima direzione, mi sono reso conto della sistematicità
degli errori commessi dagli analisti e dai guru di turno.
Gli accademici in realtà sono consapevoli dei limiti delle loro teorie
proprio in forza delle ipotesi formulate, sempre tenute ben presenti, che costringono
a considerare solo un particolare aspetto di un problema. Un modello economico
insomma è una rappresentazione del mondo, dalla quale sono stati tolti
alcuni elementi complessi per fare un po' di luce tra la selva oscura dei comportamenti
umani.
Facciamo un esempio. Un modello potrebbe voler indagare cosa accada al tasso
di cambio dell'euro contro il dollaro nel caso in cui la Banca Centrale Europea
adotti una misura espansiva (per esempio una riduzione del tasso di sconto).
In questo caso l'ipotesi iniziale potrebbe essere che tutte le altre variabili
implicate nel processo restino immutate. La pretesa non è di giustificare
perfettamente i movimenti dei tassi di cambio a una variazione del tasso di
sconto. La spiegazione sarà valida solo nel contesto definito dall'ipotesi
base, e cioè che tutte le altre variabili, e sono tante (il tasso di
sconto della Banca Centrale Americana, la situazione politica e commerciale,
la spesa fiscale, ecc.), restino immutate.
Gli economisti sono spesso accusati di semplificare le cose in modo eccessivo
in molti dei loro modelli. In realtà essi focalizzano l'attenzione su
di un particolare aspetto della questione senza la presunzione di riuscire a
spiegare l'intero sistema. Gli analisti finanziari invece sembrano continuamente
ignorare tutta l'enormità di variabili che circonda i fenomeni economici,
tanto da aver applicato in modo poco ortodosso le impostazioni accademiche,
auto-convincendosi che le ipotesi fatte siano anche ciò che accadrà
realmente. In un discorso tenuto anni fa all'Economic Club di Washington, Paul
Krugman, un brillante economista americano di area liberal, premio Nobel nel
2008, concluse il suo intervento sottolineando come
"il più grande problema con molti uomini d'affari,
leader politici e altri è che, pur essendo disposti a parlare e leggere
di economia fino alla nausea, essi non sono disposti a fare nulla che assomigli
vagamente al tornare sui banchi di scuola […] e preferiscono mettersi
subito a pontificare di globalizzazione e nuova economia".
Non escludo che dal lavoro degli analisti si possa giungere
a risultati anche importanti, ma che si debbano applicare le loro metodologie
con la stessa sicurezza di una verità matematica è estremamente
eccessivo, soprattutto se si "gioca" con i soldi di altre persone,
ignare sul chi sia in grado o meno di salire in cattedra a tracciare il futuro.
* * *
Da queste considerazioni ho iniziato questa lunga conversazione
che si intrufolerà nel mondo dei vostri risparmi, cercando di migliorare
quello strano e misterioso rapporto simbiotico che negli ultimi anni si è
venuto a creare tra gli italiani e le loro banche.
Siamo nati liberi! È proprio vero? Forse non in tutti i settori, sicuramente
non in tutti gli stati del mondo, ma se restiamo in Italia, e se parliamo di
soldi e investimenti, siamo veramente in grado di sbizzarrirci come più
ci piace: non abbiamo obblighi, possiamo investire in modo estremamente sofisticato
anche con pochi mezzi, il numero di concorrenti è vastissimo, la tipologia
di prodotti a nostra disposizione è ricca come mai in passato e, se lo
vogliamo, non è più necessario andare in banca per controllare
i nostri risparmi e operare con il nostro denaro.
Ma allora cosa non va? La libertà ha bisogno di aiuto e dobbiamo difenderla,
spesso da noi stessi. Liberi si nasce, schiavi si diventa. Schiavi delle illusioni,
dell'impazienza, della paura (che porta alla rabbia e poi all'odio, direbbe
un vecchio saggio) verso un sistema troppo spesso messo sotto accusa dal versante
sbagliato. Le godibili e spietate invettive contro la stampa finanziaria e l'industria
del risparmio che ciclicamente accusano il sistema, impiegano tutta la loro
potente energia nello sparare cannonate contro un vascello che sta traghettando
gli italiani in un mare un po' in tempesta, con il rischio di far affondare
la nave senza che i soccorsi facciano in tempo ad arrivare.
Una critica più costruttiva deve riconoscere che la diffusione del risparmio
gestito e dei contratti mutualistici, se condotta con perizia, è una
grande conquista di democrazia finanziaria, che estende anche al piccolo investitore
le opportunità e i servizi un tempo riservati solo ai possessori di grandi
patrimoni.
Il sistema italiano, pur tra le mille critiche che gli si possono e devono fare,
garantisce a chiunque lo voglia di sentirsi libero di agire come meglio crede.
Negli ultimi quindici anni sono stati fatti enormi passi avanti, e i prodotti
finanziari disponibili oggi sul mercato italiano sono capaci di coprire qualsiasi
esigenza della stragrande maggioranza dei risparmiatori. Ma la libertà
ce la dobbiamo mantenere con impegno, e la felicità dell'investitore
di domani dipenderà molto dal modo di relazionarsi con gli operatori
finanziari di oggi. Pur essendo in atto una sorta di rivoluzione culturale finanziaria,
il motore che muove la comunicazione tra risparmiatori e operatori professionali
necessita ancora di qualche messa a punto. Riassumiamo i "progressi"
degli ultimi dieci anni.
Scontenti dei BOT, che dal 1998 hanno iniziato a rendere sempre
meno, nel 1999, in pieno boom azionario, i risparmiatori sono stati spinti ad
abbandonare il caro vecchio titolo di Stato, per passare ai nuovi più
attraenti fondi comuni obbligazionari, reduci da strepitosi successi. Purtroppo
però, con i tassi di interesse che iniziarono a rialzare la testa, gli
italiani scoprirono che le obbligazioni a lunga scadenza (i Btp, di cui erano
pieni i fondi obbligazionari) hanno un prezzo che, al rialzo dei tassi, ahimè
cala (a dire il vero nel '94 avevano già avuto un primo avvertimento).
Finiti in rosso con gli strumenti a reddito fisso, nel 2000 i risparmiatori
sono stati sedotti da un mercato azionario scoppiettante. Alla ricerca di quella
"grinta" che doveva essere per forza inserita in ogni portafoglio,
un esercito di neo investitori si è buttato in massa sulle azioni senza
badare troppo ai criteri temporali che era necessario tenere a mente né
tanto meno ai rischi cui andava incontro (mi sono imbattuto anche in dei "fenomeni"
che erano ultra-convinti di poter facilmente guadagnare il 10% al mese per sempre).
Quando tra il 2000 e il 2001 agli investitori di tutto il mondo sono scese le
prime lacrime, le banche hanno cercato di lenire le sofferenze proponendo novità
"rivoluzionarie" come le gestioni patrimoniali in fondi, con il solo
risultato di addormentare (tranquillizzare) per un po' il risparmiatore, ma
facendolo risvegliare ancora tutto dolorante. Nel frattempo scoppiava anche
il caso Argentina.
Dalla seconda metà del 2001 a tutto il 2002 le due nuove parole magiche
sono state "capitale garantito". Polizze, titoli, gestioni, fondi:
il tutto venduto ai minimi di mercato con vincoli a cinque, dieci, quindici
anni. Colonna sonora di tutto lo spettacolo, il conto corrente televisivo, colorato
e "super remunerato": solo per qualche mese, è vero, ma è
l'immagine che conta!
Mentre mezzo mondo si leccava le ferite prodotte dal collasso della Parmalat,
il mercato azionario dal 2003 ricominciò a salire, purtroppo tra l'indifferenza
generale. Anche i legislatori europei, presi da "rimorso", si diedero
da fare sfornando la direttiva MIFID, provvedimento nato al solito a babbo morto,
che ha solo moltiplicato le già cospicue carriolate di carta che gli
intermediari devono consegnare ai malcapitati risparmiatori, senza preoccuparsi
di insegnar loro nulla. I mercati intanto salivano, e giunti abbastanza in altro
da suscitare l'interesse generale (sigh), hanno di nuovo fatto il pieno di sottoscrittori
nel 2007. Anche le obbligazioni più rischiose, le cosiddette high
yield (alto rendimento, ma anche alto rischio), quelle emesse dalle aziende
più piccole e dal rating non eccelso, a giugno 2007 venivano
scambiate a prezzi poco più alti dei titoli di stato, "garantendo"
al sottoscrittore rendimenti di due punti percentuali e poco più superiori
ai bond tedeschi. Il motivo? Il rischio era praticamente finito, i nuovi sistemi
come il Var tenevano tutto sotto controllo, i mercati salivano, e poi
c'era il nuovo motore cinese che galoppava. Insomma, tutto avrebbe luccicato
per sempre perché, si diceva… questa volta è diverso!
Ma né il Var né la MIFID né la Cina (che arrivo
a perdere il 60% tra il 2007 e il 2009) né nessun altro è riuscito
a impedire il disastro, nato dalle ceneri di un'altra grande bolla, quella immobiliare,
tra l'altro ultra annunciata.
* * *
Se una parte di questo libro illustrerà propedeuticamente
una serie di clamorose cantonate prese dagli analisti, è però
dalla lezione della storia che bisogna cominciare se vogliamo sentirci più
forti nell'affrontare i mercati finanziari. Che quei vecchi e noiosi libri impolverati
siano una delle letture più moleste per gli italiani e, temo, per la
maggior parte delle persone di questo mondo, è cosa nota. Non c'era quindi
da aspettarsi molto dalle splendide lezioni che il passato ci aveva offerto
nel corso degli ultimi quattro secoli.
Nei primi capitoli del libro troverete una rassegna che va dal '600 a oggi di
alcuni clamorosi fiaschi del mercato, e cioè le grandi bolle speculative,
al "successo" delle quali, però, la follia e l'inconscio masochismo
popolare hanno sempre contribuito in modo determinante.
La storia delle grandi manie collettive porta con sé un prezioso insegnamento.
Le correzioni al ribasso che di tanto in tanto si verificano nei mercati prima
o poi passano; fanno parte dei cicli economici ed è normale che si susseguano
nel corso del tempo. Se il criterio che abbiamo seguito nella creazione del
nostro portafoglio d'investimento ha poco a che fare con i sogni di gloria,
fidando nella nostra coerenza, il colpo di un ribasso sarà attutito e
la ripresa agevolata. Quando invece si riceve la frustata di una bolla speculativa,
risollevarsi è molto più duro. L'ultima parte del libro renderà
tutti un po' più consci di una verità che troppe persone si vogliono
illudere non valga in finanza: l'ultima volta che la manna è piovuta
dal cielo è stato qualche migliaio di anni orsono.
Anni fa, nell'inserto domenicale de Il Sole 24 Ore, lo storico dell'economia
Gianni Toniolo ricordò la distrazione di Adam Smith e di David Ricardo,
i due grandi padri dell'economia politica, che non si erano accorti delle rivoluzioni
economiche che si stavano svolgendo sotto i loro occhi negli anni in cui elaboravano
le loro fondamentali teorie. Se la "svista" dei due grandi può
essere perdonata per mancanza, all'epoca, di dati ufficiali e di rilevazioni
statistiche (anche se Ricardo, vissuto nel pieno di un boom straordinario, è
meno scusabile), Toniolo non ha dubbi nell'affermare che "l'economista
che trascura la storia lo fa a rischio di impoverire la propria analisi".
Sono convinto che l'ignoranza del nostro passato (e quando dico nostro non mi
riferisco solo all'Italia) sia una delle negligenze più gravi della società
in cui viviamo, che a malapena ricorda quello che è accaduto dieci anni
prima. Pare proprio che ci sia un gusto innato nel rimuovere tutto ciò
che ci ha creato disappunto, per avere poi il sano piacere di riprovare
le stesse emozioni. La pensa sicuramente così anche Osvaldo de Paolini:
"Per un mercato che suole definirsi tale, è
difficile accettare la tesi del moto perpetuo, del rialzo senza interruzione
del prezzo dei beni in esso scambiati. Ma talvolta la ragione deve arrendersi
all'evidenza dei fatti quando l'impossibile prende forma e si realizza …
Gli anziani sostengono di aver già vissuto tali momenti … ma aggiungono
anche che il contesto storico attuale è assai diverso … gli eccessi
abbondano, ma si tratta, dicono, di un recupero dei tempi morti, degli eccessi
contrari … All'improvvisato investitore che si vede recapitare ogni giorno
pingui guadagni senza che debba muovere un solo dito, non importa nulla della
funzione sociale della Borsa. Ciò che lo interessa è il volume
del suo portafoglio che si gonfia istante dopo istante. Ecco perché gli
appelli alla prudenza cadono nel vuoto, perché agli inviti alla moderazione
si risponde con sonore risate".
Anche se sembra una descrizione della situazione che si era
venuta a creare tra il 1999 e il 2000, quando con l'impazzare della follia tecnologica,
i risparmiatori si arricchivano nel giro di un paio di settimane, o tra il 2006-2007,
al tempo dell'ultimo boom di mercati emergenti, materie prime e titoli finanziari,
queste riflessioni furono scritte trent'anni fa e apparvero su Il Sole 24 Ore
del 26 ottobre 1980. Una curiosa coincidenza! Anche il seguito della storia
non è stato molto diverso. Sul finire degli anni settanta, infatti, la
borsa iniziò a crescere vorticosamente (non dimentichiamoci però
che l'inflazione era altissima) e raddoppiò nel 1980. A fine anno De
Paolini scrisse l'articolo sopra ricordato. Il mercato continuò a fare
faville per qualche mese fino a giugno '81, quando iniziò il tracollo
che in un mese e mezzo fece calare gli indici di oltre il 40%. A fine anno la
borsa era ancora al livello dell'ottobre '80, ma nel frattempo il costo della
vita era salito del 20%. Inflazione a parte, i fatti si ripeterono in modo identico
tra l'ottobre 1999 e l'ottobre 2000.
Alla base di questo libro c'è un convincimento profondo:
i buoni affari nella gestione del risparmio si fanno in due, e i due attori
sul nostro palcoscenico sono, inevitabilmente, l'intermediario da un lato e
il risparmiatore dall'altro. Ma gli affari saranno buoni per entrambi solo se
il rapporto, che non deve essere viziato da aspettative mal riposte, sarà
attivo e coinvolgente, e in tutte le pagine che seguiranno troveremo qualche
elemento per renderlo tale, qualunque sia il copione che abbiamo in mano.
Socraticamente, si diventa più ricchi se si è abbastanza abili
da riuscire ad accettare il fatto che ci sono delle cose che non sono prevedibili
da nessuno (direttore di banca, operatore finanziario, amico o espertone che
sia), senza per questo dover rinunciare a un confronto con un consulente. Anzi,
è proprio imparando a non prestare particolare attenzione a chi si professa
nato con la bacchetta magica, e ascoltando avidamente chi invece non teme di
smontare i nostri sogni di ricchezza se troppo azzardati, che avremo fatto un
notevole passo avanti verso la nostra tranquillità finanziaria.
Una fulminea guida alla lettura di questo libro
* Se ascoltiamo la storia dei nostri nonni e riflettiamo sui
loro (e sui nostri) errori (cap. 1-7 - parte prima),
* allora riusciremo anche a renderci meglio conto di che cosa e di chi ci possiamo
fidare (cap. 8-11 - parte seconda).
* Con un piccolo sforzo in più, inoltre, anche alcuni, pericolosi luoghi
comuni della finanza non saranno più un problema (cap. 12-15 - parte
seconda).
* Giunti a questo punto, se volete completare l'opera, ditemi: quanto siete
disposti a rischiare per realizzare i vostri obiettivi? (cap. 16-18 - parte
terza).
* Fatto questo, passo dopo passo indagheremo gli aspetti salienti degli strumenti
da utilizzare per creare la nostra asset allocation (cap. 17-23 - parte terza).
* Una finestra andrà infine aperta sul nuovo mondo della consulenza finanziaria
fee-only, fornita da liberi professionisti e slegata dai tradizionali intermediari
finanziari (cap 24 - parte terza). Questo capitolo conclusivo è stato
scritto da Franco Bulgarini, uno dei pionieri in Italia di questo settore.
L'ultima considerazione
Se visitate una libreria (tradizionale o on line),
specializzata o meno, ed esplorate la sezione dedicata alla finanza, non vi
basterà un intero pomeriggio solo per leggere e valutare le quarte di
copertina dei manuali sulle teorie di borsa, tanto sono numerose: come diventare
ottimi investitori, come svolgere la giusta analisi fondamentale o tecnica,
saper leggere i grafici, e così via.
Questo volume non è una guida per raggiungere l'infallibilità
finanziaria, casomai è una traccia per affrontare con più serenità
un mondo che di tale infallibilità è sprovvisto. Spero di riuscire
a coinvolgere in questo racconto tra passato e presente chiunque, investitore
per passione o per necessità, abbia voglia di fare due chiacchiere su
quei benedetti soldi che tanta fatica abbiamo fatto a risparmiare. Non è
un caso se le prime parole di tutto il mio lavoro le ho lasciate all'insuperata
maestria del genovese Fabrizio De Andrè.
Tuttavia anche io resto senza argomenti e con poche giustificazioni per continuare
a scrivere un libro di questo genere, dopo aver scoperto che quasi tutte le
più grandi verità finanziarie che contano, valide più che
mai ancora oggi, furono così ben enunciate addirittura nel primo vero
libro sulla borsa, pubblicato nel lontanissimo 1688.
In quell'anno, ad Amsterdam, un ebreo convertito un po' mercante un po' letterato,
Joseph Penso de la Vega , nella sua opera Confusión de Confusiones
- un dialogo tra un mercante, un filosofo e un azionista - propone alcune massime
sul mercato azionario. In uno scambio di battute, l'azionista prende la parola
e afferma alcune regole di comportamento:
"…La prima è che "in materia di
azioni non si deve dar consigli a nessuno", perché se la ragione
è preda di incantesimo, difficilmente il consiglio potrà risultare
profittevole.
La seconda è che "la cosa migliore è prendere il guadagno
senza pentirsene", perché, come per l'anguilla che quando meno te
lo aspetti ti sguscia via, è cosa prudente godere quello che si può,
senza confidare nella stabilità dell'occasione o nella persistenza della
fortuna.
La terza è che "i guadagni degli azionisti sono come i tesori dei
folletti", poiché ora son carbonchio, ora carbone; ora diamanti,
ora ghiaia; ora rugiada dell'aurora, ora lacrime.
La quarta è che "chi vuole arricchirsi a questo modo deve aver pazienza
e denaro", poiché v'è così poca stabilità nei
prezzi e ancor meno fondamento nelle notizie. Chi sa sopportare i colpi, senza
farsi cogliere dal panico davanti alle avversità, comportandosi come
il leone che risponde ai tuoni del cielo con ruggiti e non come la cerva che
scappa impaurita, se aspetta, e ha il denaro per poter aspettare, guadagnerà.
Queste stesse oscillazioni costringono molti a rendersi ridicoli, gli uni si
fan guidare dai sogni e gli altri dalle profezie, questi dalle illusioni e quelli
dai capricci, e tantissimi dalle chimere".
Simone Mariotti
Rimini, maggio 2010
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