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Il recupero delle radici. Glauco Cosmi e la malatestianità
Pubblicato il 15 marzo 2010 su La Voce di Romagna




di Giuliano Bonizzato

Capita, ogni tanto, che i Riminesi sentano il bisogno di recuperare, in qualche modo, la loro identità. Forse perché la nostra è una città schizofrenica, con il muro… "berlinese" di Via Monfalcone che, costeggiando la ferrovia, ci spacca in due: "quelli di Marina" e "quelli di Città". Due popoli diversi per abitudini, mentalità, approccio alla vita. Il Centro Storico è come la Vecchia Europa che si contrappone alle Colonie Americane. Arriva l'inverno e quelli di Marina, come gli statunitensi quando vanno in pensione, riscoprono la cultura e le tradizioni del Vecchio Continente, le Piazze, il Corso, le mostre a Palazzo Garampi… per ritornare poi, irresistibilmente, appena sbuca un po' di sole, a frequentare il salotto di Viale Vespucci o a passeggiare alla Darsena e al Porto. Torna l'estate ed ecco i "cittadini" avventurarsi, fugacemente e per lo più la domenica, tra gli ombrelloni degli amici indigeni, per poi rintanarsi nuovamente negli amati bar del Centro Storico.
Da una parte i vitelloni, pallidi, riflessivi e un po' pigri. Dall'altra i birri, abbronzati ed estroversi. Là i conservatori che non rinuncerebbero mai alle loro ferie, qua i trasgressivi che sgobbano anche nei giorni di festa. In città quelli che, a nuoto, non saprebbero arrivare neppure alla seconda secca; a marina chi, anche in senso metaforico, sfida i cavalloni… (e firma le cambiali) pure dove non si tocca. Poi, ahi, ahi, ci sono i politici. In gran parte non riminesi, a partire dal sindaco. Chissà perché.
Magari siamo alla ricerca di una identità perché ne abbiamo troppe, venendo continuamente a contatto con mille realtà diverse. Uno, nessuno e centomila, per dirla col buon Pirandello. Ci frega il fatto d'essere una terra di frontiera, aperta in entrata e in uscita, l'ombelico turistico del mondo, un crogiuolo multietnico e multiculturale… Eppure esiste tra noi, una razza del tutto particolare. Quella dei Malatestiani. E se gli esemplari purissimi - confinati ormai quasi tutti a Borgo San Giuliano - sono ormai in via d'estinzione, sopravvivono molti "incroci", nei quali, per fortuna, la "rimin'essenza" (per dirla con Mauro Gardenghi) si fa ancora sentire.
Come ho recentemente ricordato, con una "botta d'orgoglio", nella relazione su "Glauco Cosmi: un grande malatestiano" richiestami dall'Università della Terza Età, il termine "Malatestiano" (nel significato di appartenente ad una specie particolare) fu lanciato proprio da Glauco, nel 1989, quando, nelle sua veste di Editore, decise di dare alla mia prima raccolta di "pezzi" di folclore riminese, il titolo di "Cronache Malatestiane" (e la rubrica prese, da quel momento tale denominazione) scrivendo nella sua prefazione che "in quel pezzo di terra che ha come centro Rimini accadono cose che non succedono in nessuna altra parte della Romagna, perché lì non vivono romagnoli bensì "malatestiani", gente che ha un suo rapporto speciale con l'Universo Mondo".
Come si manifesti questo "rapporto" non è proprio facile da spiegare ed occorre, prima o poi, aiutarsi con qualche esempio.
Partiamo dalla caratteristica più appariscente dei Malatestiani: un modo brusco e diretto di esprimersi, a parole e in prosa, accompagnato dal gusto della battuta, e, soprattutto, dalla tendenza irresistibile a demistificare, dissacrare, ridimensionare, soprattutto se stessi. E questo, ho sempre pensato, per una sorta di critica e autocritica esasperate, in quanto, sotto la "rusticità" di facciata, i malatestiani celano, accuratamente,una sensibilità e spesso una cultura, di livello superiore. Abbiamo sotto gli occhi l'esempio dello stesso Cosmi, una delle personalità più geniali ed eclettiche della nostra città (giornalista pubblicista, autorevole critico musicale, regista di opere Liriche, autore teatrale) quanto mai "rustico" nei rapporti correnti, eppure in grado di esprimere una calda umanità soprattutto nei confronti dei più deboli e sprovveduti, come accadde con i giovani e spaesati musicisti vincitori di concorsi, venuti dall'est, durante l'epopea della Sagra musicale Malatestiana di cui fu l'anima per quarant'anni. Talmente severo con sé stesso, da schermirsi continuamente, da sminuirsi, da evitare di mettersi in mostra, da disertare i salotti, nonostante la sua vasta cultura umanistica e musicale. Giovanissimo era già un apprezzato opinionista al Corriere della Sera, prima di far ritorno da Milano a Rimini per sostituire il padre malato e amatissimo nella conduzione della storica Tipografia, ma, non firmò mai, se non con pseudonimi, i graffianti corsivi pubblicati, da allora, sulle nostre testate. Nessuno, poi, neppure gli amici più intimi, era a conoscenza di quelle trentaquattro delicatissime poesie dialettali che, per puro caso, vennero rinvenute dalla sorella Rossana in mezzo a mille cartacce da mandare al macero, dopo la sua dipartita, a settant'anni. Quei versi, spesso drammatici, scritti per sé stesso, per interrogarsi, quei versi destinati all'oblio, tracciati da un Glauco "uomo di pena" come ebbe a definirlo Antonio Piromalli, fanno oggi di lui, uno dei grandi poeti romagnoli.
Malatestiano al punto che se questa definizione glie l'avessi appioppata, in vita, mi avrebbe certamente risposto con una parolaccia.


Glauco Cosmi
Glauco Cosmi









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